Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/114

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infinito; il tramonto accendeva le estreme cime del bosco, una gazza cantava in lontananza; ma Elias era triste, sfatto, col volto soffuso di stanchezza e di sofferenza come nei primi giorni del suo ritorno.

— Zio Martinu mio, — disse — se sapeste come sono andate le cose! È inutile, non posso, non posso parlare, nè con mia madre, nè con nessuno. Ieri sera mi sentivo deciso, mi sembrava di aver un cuor di leone, o per meglio dire una faccia tosta di cuoio. Ebbene, mi corico, dormo, nel sogno mi pare di esser a casa, di parlare con mia madre.... Tutto mi sembrava facile. Mi sveglio, parto, arrivo a casa: e mi sentivo sempre lieto, pieno di speranza e di coraggio. Chiamo mia madre in disparte, e sento salirmi alle labbra le parole che già avevo preparate. Essa mi guarda, ed ecco, improvvisamente, sento battermi forte il cuore, e un nodo mi chiude la gola, Ah, no, zio Martinu mio, è impossibile, io non posso parlare, anche volendolo. Potrei commettere un delitto, ma rivelare quella cosa ai miei parenti, no. Non è possibile.

— Ritenta — provò a dire il vecchio. Ma Elias ebbe un gesto di ripulsione, quasi di rivolta.