Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/243

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— Tu non hai cura di lui, — le diceva. — Non vedi che sta poco bene? È viso di bimbo sano, quello? No. Io farò venire il dottore e vedrai che ho ragione.

— Che gliene importa! — disse Elias fra sè, con amarezza e con gelosia. — Spetta a me curarmene, e non a lui.

Uscì nel cortile, dove i poeti ricominciavano a cantare, e sedette accanto al padre; e parve ascoltare la gara estemporanea, ma pensava sempre al Farre, a Maddalena, al bimbo, e si rattristava e s’irritava, e s’accorgeva di un suo nuovo desiderio: che Maddalena restasse vedova: non aveva mai pensato che, se lei si rimaritava, egli non avrebbe più autorità sul bambino.

— Sposerà il Farre, — pensava, — ed io non potrò più amare il mio figliuolo: mi saranno contati i baci e le carezze che potrò fargli. — E il suo pensiero si smarriva nell’avvenire, in cose del tutto estranee al ministero nel quale era quel giorno entrato.

Finita la festa, rientrato in seminario, s’accorse di tutti i pensieri vani, delle gelosie, delle tristezze provate durante la giornata, e un forte scontento di sè lo prese.

— È inutile, è inutile, — pensava, voltandosi