Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/256

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volta Elias sentì fra sè e l’anima del suo bambino che se n’andava un ostacolo insormontabile. Si mise in fondo alla camera, accanto al finestrino, e i suoi occhi lampeggiarono d’un fosco bagliore verde. Pensava delirando:

— Perchè egli e là? Perchè mi ha tolto di là? Mi ha cacciato, mi ha spinto. Con qual diritto? È suo o mio il bimbo? È mio, è mio, non suo! Adesso vado, lo prendo a schiaffi, quel grosso otre, lo caccio di là, perchè devo starci io, non lui. Vado, vado, lo schiaffeggio, lo ammazzo: voglio bere il suo sangue, perchè lo odio, perchè mi ha tolto tutto, tutto, tutto, perchè quando c’è lui, io arrivo a desiderar la morte del mio bambino.

Ma per qualche minuto non si mosse dal suo posto; poi entrò in cucina, disse a sua madre:

— Ritornerò fra poco, — e se ne andò via rapidamente.

Rientrando nella sua cella gli parve di svegliarsi da un sogno; e riebbe coscienza della sua vita, del suo stato e del suo dovere. S’inginocchiò e si mise a pregare ed a chiedere perdono a Dio del suo delirio.

— Perdonatemi, Signore, perdonatemi per la vita eterna, giacchè in questa non sono