Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/45

Da Wikisource.

— 39 —

ghiere: ineffabile sogno di pace, di solitudine selvaggia, di silenzio immenso appena rotto da qualche richiamo lontano di cuculo, e dalle voci sfumate dei viandanti. Ed ecco, d’un tratto, il sublime paesaggio profanato e desolato dalle bocche nere e dagli scarichi delle miniere: poi di nuovo pace, sogno, splendore di cielo, di pietre fosche, di lontananze marine; di nuovo il regno ininterrotto del lentischio, della rosa canina, del vento, della solitudine.

A un certo punto, in un’alta spianata, fra i lentischi, tutti si fermarono: alcune donne smontarono di sella, gli uomini bevettero. La tradizione dice che là volle fermarsi la statua del Santo mentre la trasportavano alla chiesuola, e che volle da bere! Si scorgeva la chiesa, coi suoi muri bianchi e i tetti rossi, adagiata a mezza china tra il verdeggiar delle brughiere.

Dopo una breve sosta si riprese il viaggio. Ed Elias Portolu e zia Annedda restarono gli ultimi. La mèta s’avvicinava; il sole s’avviava allo zenit, ma il vento gradevole, odoroso di rose canine, ne temperava l’ardore.

Ecco il fondo d’una piccola valle, ecco di nuovo la salita: i bianchi muri, i rossi tetti si avvicinano. Coraggio, la salita si fa aspra