Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/79

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— Non credere che abbia bevuto molto, caro mio, no. Sono uscito così, vedendo la luna, mi sono seduto qui. Eh, tu non sai che io sono stato una volta poeta?

— Oh! oh!

— Vogliamo sederci un po’ qui? Guarda che bella notte. Sì, sono stato poeta, ed ho stampato una poesia, ma siccome questa poesia era d’amore, ebbene cosa mi fa monsignore? Mi manda a dire che la finisca, che queste non son cose da farsi da un sacerdote.

— E lei, prete Porcheddu?...

— E io ho smesso. Figliuolo mio, io so che tu mi hai giudicato un matto....

— Prete Porcheddu!

— .... un matto, ma sono un matto che non fa male a nessuno, e tanto meno a sè stesso. Ho saputo sempre vivere, sono stato allegro, ma prudente. Così, quella volta, ho smesso, ma mi è rimasta l’abitudine, talvolta, di fantasticare. Guarda che bella notte, figliuolo mio. È una di quelle notti che invitano a pensare, a riandare nella propria vita, a pentirsi del mal fatto, a far buoni propositi per l’avvenire. Tu sei intelligente, Elias Portolu, non sei un pastoraccio qualunque, ed hai studiato e sofferto, e puoi capire queste cose.