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scattare di ritorno con le bacchette alla volta di Giaffà.

Per mezz’ora giocarono sul tenero prato con vera gioia: poi una vecchia istitutrice indiana venne a chiamare la fanciulla per lo studio.

— È già ora? — chiese con una smorfia Liú-là.

— Sí, dolce figlia di Budda. —

Liú-là si volse a Giaffà e con un soave sorriso gli diede un bacio sulla fronte. Gli disse con una voce d’usignolo:

— Grazie della tua compagnia: ci vedremo domani e staremo lieti e sereni come siamo stati oggi e ieri. Addio, amico mio, addio Agara. —

Giaffà si svegliò sussultando e geloso dal sogno. Si stropicciò gli occhi, e incominciò a piangere dalla disperazione non sapendo piú che cosa pensare. Poi si decise e disse fra sé:

— Io non so piú se sono Giaffà o se sono Agara: ma è certo che se trovo Agara gli faccio qualche sgarbo. —

In casa sua non ebbe il coraggio d’entrare.

* * *

Giaffà fremeva ancora per il sogno.

Che tutti l’avessero scambiato per Agara, in