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38 grazia deledda


sa stuoia che rappresentava una caccia all’airone — e si guardò intorno. Certo il luogo era bello e profumato: dalle larghe finestre si vedeva un cielo azzurro con alberi rosa e il volo delle gru, proprio come le calcomanie che voi stampate nell’ora del compito. Quello che però non andava a genio a Giaffà fra tanti bei ninnoli di porcellana, fra tappezzerie di sete, in quell’andirivieni silenzioso di grandi personaggi che incontrandosi si inchinavano sino a terra sorridendo e senza scambiare una parola, erano due guerrieri sulla porta con le lance dalle dieci punte.

Ad un tratto passò con un corteo frusciante Tori-li, la bellissima figlia del Mandarino.

Giaffà si alzò e senza tanti complimenti — perché secondo l’uso le avrebbe dovuto baciare i piedini — le disse che doveva parlare al padre. Lei per un istante lo guardò con alterigia senza rispondere: poi sentendo sussurrare il nome dell’importuno da una dama del seguito si voltò incuriosita:

— Ah, tu sei Giaffà?

— Proprio quello in carne e ossa.

— Ma non mi sembri tanto stupido come dicono nella città. Che vuoi da mio padre?