Pagina:Deledda - I giuochi della vita.djvu/108

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Ella si fermò; io mi avvicinai e mi accorsi che tremava tutta di freddo e di paura. — Lasciami, — supplicava, — sono una povera serva, non mi toccare.

— Non aver paura, — le dissi, prendendo nelle mie le sue mani gelate. — Ora ti scalderò le mani. Non sono cattivo, io; sono un galantuomo. Se mi baci vedrai che non ti pentirai. Ora andiamo nella capanna; ti scalderai.

La presi per la vita, ma invece di condurla nella capanna la trascinai più lontano ancora, in un posto ove balia non poteva trovarci. Il vento diventava furioso: cadeva qualche falda di neve. La fanciulla tremava di freddo: cercava di sfuggirmi, ma oramai la tenevo avvinta e le dicevo tante dolci cose.

— Perchè un padrone non può sposare la sua serva? Sciocchezze. Io ti sposerò; sono figlio unico e farò ciò che mi piace.

Così la condussi lontano, verso una vecchia capanna riparata contro una grotta.

— Ho freddo, ho freddo, — ella diceva, — questa non è la tua capanna. Non c’è fuoco.

— Il fuoco è qui, nelle mie labbra. Senti. La baciai ed ella non gridò. Così fu mia.

— E balia? — chiese l’altro.