Pagina:Deledda - I giuochi della vita.djvu/272

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264 il fermaglio


frugava disperatamente per la casa, cercando da mangiare, e la nonna chiamava invano.

Francesco, più terreo e brutto che mai, cuciva incrociando gli spaghi rossi e verdi, ma ogni tanto s’incantava, ricordando e aspettando. Un cupo ardore gli brillava negli occhi. Egli aveva riveduto Eva, o meglio aveva veduto una donna che un tempo si chiamava Eva, quando era sottile e gentile e tutta bianca nel vestitino chiaro impallidito dall’uso. Ora tutto era mutato in lei: persino l’accento. Il suo sguardo e il sorriso allora tremuli e dolci come l’acqua del fiume increspata dal vento del mattino, ora destavano un sentimento strano nella persona a cui venivano rivolti. Francesco, ricevendo quello sguardo e quel sorriso, aveva sentito una fiamma corrergli nel sangue; gli occhi gli si erano velati; qualcuno lo aveva spinto furiosamente per le spalle, gettandolo vicino ad Eva, con le braccia aperte, tremanti dal desiderio di abbracciare, stringere, soffocare il bellissimo corpo di quella donna vestita di rosso. Ella lo aveva respinto, senza però offendersi, senza cessar di sorridere, senza chinare gli occhi luminosi.

Quella notte Francesco sognò di trovarsi in riva al Po: l’acqua era tutta d’un rosso