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276 il fermaglio


intorno, lentamente ma incessantemente, come Speranza usava fare con gli africani comprati a Viadana.

Un giorno gli sembrò che tutto il suo cuore fosse oramai scomparso; al suo posto stava il serpente aggrovigliato, grosso, enorme, che invece di pungere, ora scuoteva la coda frustando le viscere strette intorno al suo volume viscido e duro.

Egli soffocava: non poteva più aprir bocca. L’aria intorno a lui s’era come pietrificata, e gli turava la bocca, gli premeva sulle labbra con una lastra di granito. Tutto, dentro, fuori, intorno a lui, tutto assumeva una parvenza, una pesantezza d’incubo; i padroni che litigavano, e non si occupavano più di lui come fosse già morto; la nonna che tossiva e chiamava Speranza; Speranza che andava e veniva, cauta e selvaggia, che lo guardava alla sfuggita, come si guarda una bestia malata, e non gli si avvicinava mai, paurosa, cattiva, egoista; gli altri servi che gli lasciavano crudelmente capire il suo stato disperato; tutto, anche l’assistenza svogliata della padrona più giovane, la moglie del mercante, tutto gli pesava, lo opprimeva, lo soffocava. Quasi sempre, nel sonno affannoso, egli so-