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288 | lo studente e lo scoparo |
dirigesse il suo grido alla nuvola; e che la nuvola avesse fermato il suo corso solitario e noioso per ascoltar l'allodola.
Lixia guardava e anch'egli s'annoiava. Sentiva una perfida sonnolenza velargli la mente: gli pareva che l'ombra del fico immobile sul muro rossiccio — un'ombra pesante e letale — gli calasse sul pensiero.
— Che melanconico e disgraziato paese è la Sardegna! — pensava. — Anche le nuvole e gli uccelli ci si annoiano. Mentre tutto il mondo si agita e cammina, essa sola, l'isola morta, tace. E ciò che ancora non è morto agonizza, così, come la vigna di mio padre — questa vigna che sola viveva nella landa selvaggia — muore di filossera. L'anno venturo non ci saranno che i muri e questo fico, se pure ci saranno. Ed io non sarò buono a ripiantarla, la nostra vigna! Come potrei? Mi intendo io di vigne? Ma chi è quell'uomo? Ah, zio Pascale; ecco che il paesaggio è completato dalla sua figura triste e dura. Pare un uomo di ferro arrugginito, quel vecchio. S'io fossi pittore simbolista disegnerei quel vecchio, così, fra due scope, accanto ad una roccia sanguigna, sul cielo anemico, e intitolerei: Sardegna.