Giuseppe era fuggito di casa. Il perchè non lo sapeva precisamente neppure lui. Aveva tredici anni; l’età ingrata; ed era come affetto da manìa di persecuzione. A suo parere, tutti gli volevano male; tutti lo disprezzavano, lo trascuravano; non solo, ma lo maltrattavano anche, se si trovavano a contatto con lui: il che, del resto, avveniva di rado, poichè la madre era sempre fuori di casa, e il padre nel suo frequentato studio di avvocato. Di questo studio era designato a successore il piccolo taciturno Giuseppe; ma egli non la intendeva così: egli detestava le chiacchiere, le interessate compagnie: amava i grandi silenzii, le vaste solitudini: dei rumori gli piacevano solo quelli dei motori, delle tempeste, delle folle plaudenti agli eroi vittoriosi. Per questo aveva deciso di scappare di casa, trovare una sua strada, vivere di sè stesso, come gli uccelli dell’aria. Intanto, cominciò col rubare: non dal cassetto del padre, per non accrescerne il furore, ma da quello della madre. Sapeva, poichè i misteri più complicati della casa gli erano noti, che la madre aveva, all’insaputa del padre, un discreto deposito destinato alle differenze del sarto: quindi non si