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Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/194

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vallo: e il cavallo bevette e si scosse tutto con un brivido giovanile.

— Hai visto, compare? Adesso offro io: però, dopo, non bisogna sforzarlo.

E, come due ragazzi, l’oste e l’amico si divertirono a ubbriacare il cavallo.


Il cavallo adesso è felice: sente di nuovo la gioia di vivere, e il suo nitrito vibra come una risata di donna. Anche il padrone è contento e naviga in un’atmosfera rosea: vorrebbe allentare la briglia al suo palpitante compagno, ma ricorda l’avvertenza dell’oste, di tenerlo a freno. E vanno su, di buon accordo, per la strada grande che tutta bianca, fra campi verdi e coste, dove ancora le ginestre fiorite danno alle rocce un colore di sole, e il bagliore di un lago sotto l’orizzonte perlato, pare salga al paradiso. D’un tratto però Ornello s’impennò: parve sollevarsi per veder meglio in alto: in alto, in vetta alla strada, quasi vicino al paese, trottava svelto il suo rivale, tirando il biroccino col suo carico misterioso. Nel grande silenzio si sentiva il sonaglio che lasciava come una scia d’argento.

Un attimo; e il sor Florindo fu più padrone nè di sè nè del cavallo: gli parve che un turbine lo portasse via; le sue grida fecero fermare il fratello, cosa che diede agio a Ornello di sorpassare il biroccino, entrare nel glorioso Corso del paese e fermarsi trionfante sulla piazza come un monumento di lucido bronzo. Sì, ma tre giorni dopo era morto, di polmonite fulminante.

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