Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/262

Da Wikisource.

viso quasi per tentare di nascondersi. E camminava rapida, come fingendo di tornare a casa, nell’umile borgo dei pescatori, dove viveva con la nonna, poichè il padre era morto in un naufragio, e la madre poco dopo, stroncata dal dolore; ma in realtà aveva detto alla vecchia che sarebbe rimasta fino a tardi nella fabbrica; e si diresse quindi alla spiaggia. Era più sicura la spiaggia, in quell’ora e in quel tempo assolutamente deserta.

Tutti i villeggianti erano andati via; le ville chiuse, tranne quella, in forma di castello, del giovane signore, che vi era rimasto solo, e in quei bei mattini d’ottobre — quando il mormorio di conchiglia della bassa marea accompagnava le cantilene dei vecchi raccoglitori di poverazze, e in lontananza, dalle vigne azzurre e dai campi arati arrivavano le voci dei contadini che aizzavano i buoi, — si affacciava ancora al balcone, in pigiama di seta celeste, come il principe della leggenda.


La ragazza sapeva che era rimasto per lei, che la voleva, che l’aspettava quel giorno, per «concludere» qualche cosa. Che cosa si poteva concludere? Tutto e nulla. Forse dipendeva da lei, dalla sua volontà, ma anche dalla passione malsana in cui si sentiva travolta: poichè l’uomo non le piaceva molto, ma le piacevano i suoi milioni. E dopo tutto era libera: c’era la nonna, ispida e umiliata come una scopa vecchia, c’erano i pochi parenti, tutti uomini di mare, statue di stracci e di sale, sempre alle prese con la povertà e con la morte. Che pote-

252 —