Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/72

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gio stretto da una cintura di cuoio e il cappello verde con una penna di fagiano, affacciarsi alla porta della casetta, da vero padrone: poi sentì un lungo fruscìo nel sentiero che scendeva allo stagno. Scendeva, il giovine cacciatore; e il sole, liberatosi dal velo dei vapori mattutini, adesso faceva parer belle anche l’acqua stagnante e le erbe marce dell’acquitrino. Un fulgore di bontà brillò anche nella coscienza del vecchio. — No, — egli disse a sè stesso, — non bisogna commettere il male. Dio non vuole. Piuttosto ce ne andremo, io e la disgraziata; sì, mendicheremo se Dio vuole così; ma il male non si deve commettere.

Il fruscìo si avvicinava, e con esso una lieve vibrazione di voci e di risate sommesse. Egli riaprì gli occhi, e questa volta erano velati di sangue. Betta accompagnava il cacciatore; vestita di grigio anche lei, morbida e tremebonda come le anatre fra i cespugli.

Stette dritta alle spalle del giovane, mentre egli issava il fucile e chiudeva un occhio per pigliar meglio la mira. Ma era uno scherzo; poichè i volatili si erano tutti nascosti, e un silenzio, una immobilità come di morte dominavano intorno.

Il colpo vero, giusto e sicuro, lo tirò il vecchio: mirava alla mano destra del cacciatore; e la mano fu trapassata: ma un repentino movimento della ragazza l’aveva portata in avanti, e la palla andò a smarrirsi nel fianco di lei.

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