Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/86

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pesta. L’albergo per villeggianti, che spadroneggiava solo in questa piazzetta tutta sfarfallante di alberelli rossi e gialli, era in parte chiuso; ma la porta a vetri, sotto la pensilina di cristalli scuri, brillava di luce come un camino.

L’uomo esitò, prima di decidersi a suonare; non intimorito, e nemmeno timido, ma perchè sapeva che il proprietario dell’albergo era adesso un suo parente, al quale un tempo egli aveva prestato denari, solo in parte restituiti: e non voleva far pesare una presenza interessata; anzi egli tornava con buoni propositi, con desiderio di simpatia e di pace.

Solo dopo qualche momento, dopo aver guardato in su verso il paesetto ammucchiato in una specie di forra, e tutto terroso e fumoso, con qualche scintilla di lume, come una carbonaia in funzione, premette il bottone del campanello. Aprì una donna grassa, vestita di rosso, con un gran viso ridanciano che però, alla vista della valigia e della testa fasciata del forestiero, si fece subito ostile e inospitale.

Egli domandò del proprietario.

— È fuori del paese — ella rispose pronta, già decisa a non lasciarlo neppure entrare. — Io sono la moglie. L’albergo è chiuso per restauri.

Egli capisce che non c’è da far niente; e non protesta, non insiste: solo, con un sorriso che sembra idiota, dice il suo nome. La donna lo guarda meglio; forse sa del debito del marito, e quella valigia, quella testa fasciata, quelle scarpe che portano ancora le rughe e la polvere di un esilio poco fortunato, la induriscono nella ne-

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