Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/96

Da Wikisource.

sta miserabile vita, si era data anche lei ai facili e disonorevoli amori della strada, rimanendo pregna di un sudicio cane da pastore.

Era stata l’unica volta, durante quegli ultimi mesi, che il padrone, uscito dalla sua apatia come da una prigione di malfattori, aveva dato in escandescenze tali, con insulti e vituperi non solo alla cagna ma anche alle serve ed a persone che fortunatamente non erano presenti, che persino la vecchissima zia sorda e paralitica, che abitava l’opposta ala della casa, aveva domandato se nella strada c’era una rissa. L’aveva domandato all’altro nipote, il fratello del cacciatore, che la curava e sorvegliava perchè il testamento di lei era tutto in suo favore: ed egli, facendole capire che gli urli erano del fratello, si era battuto l’indice sulla fronte. Pazzo, sì, da qualche tempo; infatti quell’altro dava segni di esserlo: e zia e nipote ne sapevano il perchè.

Ad ogni modo Dama fu lasciata partorire, e i cagnoli bastardi buttati nel precipizio sotto il paese: tutto il giorno e anche la notte, la cagna si aggirò disperata nella cucina, ove le donne la tenevano chiusa, raspò gli usci, rifiutò da mangiare. Si temette che diventasse idrofoba. Fu allora che il padrone si decise di portarla a caccia.

E caccia grossa avrebbe dovuto essere, poichè egli si sentiva un cuore nero da prendere leoni. Anche Dama, dopo essersi trascinata fiutando nelle straducole la traccia dov’era passata la servaccia col cesto dei cagnolini buttati nel precipizio, appena fuori del paese diventò un’altra.

86 —