Pagina:Deledda - Il fanciullo nascosto, Milano, Treves, 1920.djvu/252

Da Wikisource.

anche loro, uno per uno sfilando davanti alla benefattrice morta, avevano guardato il cuscino: spiccavano sul velluto, ricamate in oro, due parole semplici che parevano scritte perchè ciascuno di loro le leggesse.

«Ti aspetto».

Si capisce, ella li aspettava uno dopo l’altro vecchi vecchi in paradiso: nessuno aveva pensato di piangere, per questo, tanto più che la maestra nel condurli aveva detto: «è per rendere l’ultimo omaggio a chi vi ha beneficato, ma anche per abituarvi allo spettacolo grande della morte: siate forti: avanti, a due a due». Ed ecco invece quel signore alto, così ben vestito, piega d’un tratto le gambe come gliele rompano, e cade inginocchiato, e curva le spalle, col viso fra le mani come uno che ha paura. Si vede che ha paura dei morti. Un bambino ride piano piano; un altro ride più forte; il velo monotono del coro infantile si rompe, scintilla, ed è come un pigolio di passeri scappati dalla rete, un trillare di rondini svolazzanti intorno alla bella addormentata nel bosco.