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68 | grazia deledda |
Il canto dei soldati, smorzato dal fruscìo del vento, gli dava la stessa impressione sonnolenta e nostalgica del coro monotono delle donne che nelle sere estive, lungo la spiaggia da Bagnoli a Pozzuoli, si riuniscono per cantare assieme una specie di preghiera lamentosa. Egli scriveva sotto una suggestione dolorosa: sentiva un puerile desiderio di pregare, di maledire, di piangere. Gli pareva che attorno a lui le cose avessero misteriose significazioni; anche le più umili, come la goccia d’acqua che sul legno bianco del tavolo brillava al riflesso del tramonto, simile a una goccia di rugiada. Un gatto nero dagli occhi gialli, posato sullo spigolo del tavolo, guardava un po’ curioso, un po’ nervoso, e ogni tanto tirava fuori uno zampino e l’allungava tentando di afferrare la penna del soldato scrittore.
Qualche volta il soldato musicomane sedeva allo stesso tavolo e componeva una romanza con reminiscenze più o meno popolari. Il gatto allora guardava il movimento vibrato della mano del musicomane e tirava fuori lo zampino: ma un ohè senza repliche lo faceva rinculare dignitosamente.
Serafino scriveva, scriveva. Una sera il musicomane s’accorse che in fondo a una pagina lo scrittore metteva il suo nome e cognome.
— Me la farai leggere?
— Non posso, - disse sulle prime Serafino, ma dopo essersi fatto un po’ pregare cedette il manoscritto.