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Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/180

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tampo, la solitudine era per lui piena di fantasmi. Egli aveva paura, non degli uomini, ma delle forze occulte della natura e dei mezzi arcani di cui può disporre la Divinità offesa per castigare i peccati degli uomini. Quella sera infatti egli ricordava la storia di un pastore che aveva rubato i candelabri d’argento d’una chiesa ed era andato a sotterrarli ai piedi d’una quercia. E la quercia s’era improvvisamente sradicata piombando sul pastore e uccidendolo.

Sopraggiunse il gran caldo di luglio. Le fronde cadevano appassite dagli alberi scorzati, e dalle montagne lontane saliva il fumo di boscaglie e brughiere incendiate.

I lavoranti erano già arrivati fin sotto la tanca Moro, la cui muraglia di roccie pareva s’opponesse all’invasione dei distruttori. L’ultima domenica di luglio Predu Maria scese a Nuoro e andò alla messa cantata, ma non l’ascoltò con la solita devozione. Inquieto, oppresso dal caldo e dai suoi torbidi pensieri, ogni tanto si voltava per guardare le donne inginocchiate per terra. Coi loro costumi rossi e le bende gialle e bianche esse davano l’idea d’un campo di fiori; ma egli non si