Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/290

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e dimenticava ogni altra cosa che non fosse lei.

Il sole di febbraio declinava sul cielo turchino; la folla cresceva e le maschere a cavallo dovevano tirare i freni e rigettarsi indietro per non causare disgrazie; ma già molte mascherine si ritiravano; le due cuffiette si cercarono fra i gruppi dei ballerini, e la più alta si curvò sulla più piccola, e il nastro azzurro parve dire un segreto al nastro rosa; poi entrambe si fecero largo tra la folla, e si avviarono tenendosi per mano. Non saltavano più: sembravano melanconiche, stanche, e a un tratto, arrivate al crocevia di due straducole deserte, si fermarono, tornarono a consultarsi, si divisero. Una andò a destra, l’altra a sinistra, quasi volessero far perdere le loro traccie all’uomo che le seguiva. Ma egli raggiunse la cuffietta celeste davanti alla porticina di Antoni Maria.

— Devo parlarti, Sebastiana. Si può, qui? — le domandò.

Ella aprì e appena fu dentro si tolse la cuffietta e la maschera: il suo viso ardeva, luminoso di bellezza e di gioia nell’aureola scura dei suoi capelli quasi sciolti.

— Com’hai fatto a riconoscermi, Bruno? E gli altri mi avranno riconosciuta?

— Il tuo frate, sì, certo. Chi era?