Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/322

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— Passa tu, — gli disse. — Io posso aspettare: sono venuta per un affare.

Antonio Maria si alzò ed entrò senza chiudere l’uscio, ed ella lo sentì ripetere le stesse cose dette poc’anzi, e addurre l’esempio del Perrò, di Bruno e di altri che, secondo lui, erano fortunati e onorati perchè egoisti.

Quando ella entrò il vecchio stava curvo a scrivere sui suoi registri. Ella si avanzò in punta di piedi, curiosa e paurosa: aveva sentito parlare tanto di quell’uomo savio e sapiente che conosceva le leggi degli uomini e quelle della natura, ma non lo aveva mai veduto, e adesso egli le sembrava una specie di fattucchiere circondato di strumenti misteriosi e di libri che dovevano contenere pagine arcane. Ma quando il vecchio sollevò la testa arruffata, mentre ella, confusa, spiegava lo scopo della sua visita, e la guardò, dapprima con sorpresa, come abbagliato dalla bellezza di lei, poi con evidente piacere, e infine con avidità, ella si convinse che egli era un uomo come tutti gli altri.

— Sei parente del malato? — le domandò.

— No: sono sua vicina di casa....

— Che ha fatto egli durante questo tempo?