Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/54

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per la scala si sentiva l’odore delle vivande misto al profumo del legno di ginepro che ardeva nel camino e ad una puzza di pelli di pecora non conciate, e di sacchi nuovi ammucchiati nell’ingresso e sui pianerottoli della casa.

Per arrivare fino alla «signora Elena» Bruno e Sebastiana attraversarono un andito ingombro di cestini, di bisacce, di bardature di cavallo. Gabbie con uccelli vivi, armi, pelli di faina, teste di cervo e pipistrelli morti stavano appesi alle pareti; in un angolo un fenicottero imbalsamato pareva dormisse, alto e argenteo sulle sue lunghe zampe di bronzo, e tutta la casa, piena di oggetti strani, di recipienti di sughero, di tazze e cucchiaj di corno, ricordava, anche per la puzza di cuojo e di guano che la inondava, le grotte ove si rifugiano i pastori nuoresi.

Quando Bruno entrò in cucina, Marielène, che stava davanti ai fornelli, disse con voce aspra:

— Il signor Perrò non è tornato.

Col cappello in mano e in attitudine rispettosa il capo-macchia mormorò:

— Domani mattina mi devo trovare nella foresta. Bisogna che gli parli stasera appena viene.

— Siediti, allora.