Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/108

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Allora, mentre l’uomo tornava a legare e rimettere il portafoglio nella tasca che ebbe cura di abbottonare bene, ella mi accennò di ridarle il taccuino.

Ma io non glielo diedi: non c’era più nulla da scrivere, per conto mio. Ella si alzò e andò a prendere il calamaio e un quaderno; era il quaderno dei suoi conti, poiché ella non aveva altra carta, e lo rivolse dalla parte inversa ancora intatta; poi si mise a scrivere.

Scriveva, scriveva, con la testa reclinata, i poveri capelli grigi irradiati dalla luce della lampada. Io vedevo l’ombra del pennino correre e battere sulla carta come un becco nero; e aspettavo che ella finisse, ma non avevo curiosità di leggere.

Per me tutto era detto: non c’era che una soluzione sola, davanti alla mia coscienza, ed io l’avevo proposta.

Se non l’accettavano, che cosa volevano da me? Mi mandassero pure in carcere; ero pronto a tutto.

L’uomo aveva rimesso la mano sul bastone e seguiva anche lui con gli occhi la mano della zia: finalmente ella ebbe finito la paginetta; ma non quello che aveva ancora da dire: scosse il quaderno per asciugare ancora lo scritto, lo avvicinò