Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/146

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Ed ecco d’un tratto la zia, finite le sue faccende, si mette a sedere davanti a me, col calamaio e il suo quaderno dei conti. Era destino che la mia sorte venisse sempre segnata fra conti di piccole spese giornaliere.

La zia apre il quaderno alla rovescia e scrive: poi me lo fa leggere. È una cosa grande quella che leggo, eppure mi lascia freddo, anzi con un senso di ironia nel cuore: “Penso di andare a trovare Fiora, per vedere come sta e prendere gli accordi per la creatura che porteremo e alleveremo qui: diremo che è l’orfana di una nostra parente. Che ne pensi, tu?”.

Risposi:

“È meglio non andare. A suo tempo penserò e provvederò io a tutto”.

Che sguardo mi rivolse la zia! Di rimprovero e di compassione, sdegnato e beffardo assieme. Come provvederai tu, povero idiota, buono neppure a procurarti un bicchier d’acqua?

Ella teneva il quaderno fra le dita che le tremavano un poco: frenava il suo sdegno: scrisse poi qualche cosa, poi la cancellò.

Io la fissavo, e mi sentivo duro come un macigno. – Troppo tardi, — le dicevo con gli occhi: — se tu non avessi giocato la creatura col nano, buttandovela l’uno con l’altra come una pall