Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/179

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un desiderio di vendetta che mi spingeva contro di lei che con la sua grettezza d’animo mi aveva condotto a quel punto; e contro l’usuraio che aveva profittato del mio cuore semplice.

Ripresi i miei foglietti: porsi il suo quaderno alla zia. Tornavano così in campo le carte; e mi pareva infatti un giuoco, quello, come tanti altri della vita. Scrissi:

“È necessario che io venda il terreno perché sono debitore qui al signor Tobia di lire duemila; la cambiale che gli ho rilasciato scade a giorni e non ho la possibilità di pagare”.

La zia mi guardò come l’altra volta quando il nano le aveva rivelato la mia colpa: ma c’era meno sorpresa nei suoi occhi, adesso: ebbi l’impressione ch’ella fosse preparata a ricevere da me i maggiori dispiaceri: ma per quanto si sia preparati si soffre lo stesso.

Senza rispondermi ella si rivolse al Tobia e lo interrogò: l’uomo di legno non si smuoveva. Gli fece leggere il mio foglietto, ed egli allora sporse un po’ di più il labbro come per dirmi:

— Giacché sei tu a volerlo, parlo.

Forse era venuto con quella sola intenzione, ma voleva salvare le apparenze, conservare intatta la sua compostezza.