Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/46

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Poi parve ricordarsi di qualche cosa che doveva fare di premura e si gettò dal letto gridando: — Bisogna dunque che vada giù io dal brigadiere, per quest’accidente di creatura. Di’ un po’ alle tue padrone che si affrettino: ne voglio una con me, per portare il bambino. Che fai lì, imbambolata?

— Il bambino ha la febbre: non è da cristiani portarlo in giro.

Allora Davide si precipitò giù nella camera di Albina, imprecando contro le serve, come fossero state loro a far ammalare il bambino.

Gli toccò la fronte che scottava, e d’un tratto, anche lui sentì come un flutto amaro salirgli dalle viscere al cuore; ricordava anche lui il suo bambino quando lo minacciava qualche malessere e tutti intorno trepidavano.

Ed ecco come in quel tempo egli doveva precipitarsi fuori di casa in cerca del dottore.

— Non voglio che mi si ammali in casa, perdio: in casa non lo voglio, né sano né tanto meno malato — diceva ad alta voce correndo giù per la strada. I ciottoli rotolavano al suo passaggio; pareva avessero timore di lui, ma un timore per burla: perché anche le pietre della strada sapevano che Davide D’Elia in fondo non era un uomo feroce.