Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/77

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più mi attardavo peggio era: correvo il rischio di non far poi a tempo a riprendere il treno per il ritorno.

Cammina, dunque, cammina, col cestino che passava da una mano all’alta e che mi sorrideva e tentava con gli occhi della bottiglia luccicanti attraverso la paglia. Ma io volevo far baldoria proprio sotto il mio platano, e andavo oltre. Desideravo che il bosco finisse, per orizzontarmi meglio: e il bosco finì: ma come finiscono le città, in una specie di grande cimitero; un cimitero d’alberi, una vasta estensione ove era stato di recente eseguito un taglio: i ceppi inghirlandati di campanule parevano tombe. E subito un dubbio mi attraversò la mente: andai ancora avanti, ma poiché non vedevo più che una distesa di macchie tornai indietro fino alla casa rossa.

Sì, doveva esser proprio quella la casa colonica, ritinta di recente: anche i due grandi portoni verdi che davano sulla strada odoravano di vernice: ed erano chiusi. Ma più in là vedo un cancelletto aperto nella siepe dell’aia: lo spingo, senza pensarci più che tanto; ed ecco venirmi incontro circondata da una corte di anatre e di oche, una ragazza così piccola che sembra una bambina; ha la gonna corta, il grembiale