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come protestando di star lì ancora a far nulla. Intanto fuori erano sopraggiunte due vetture nere, tirate da cavalli neri, e da una erano scesi tre piccoli frati sporchi che sembravano di terracotta, coi piedi nudi entro i sandali logori ed il cappuccio lungo sulle spalle sino alla cintola.

Salirono cantando alla camera del morto e furono loro dati tre dei ceri; il quarto lo prese la serva che continuava a piangere ma badava a non far sgocciolare la cera sul pavimento.

I frati cantavano intorno alla bara; pareva avessero cantato sempre e dovessero sempre cantare monotoni e indifferenti quella nenia che aveva tuttavia una dolcezza grave, e un cupo rimprovero; dolcezza e rimprovero che però risonavano solo nel tono delle parole e venivano di più lontano che dal cuore e dalla voce meccanica dei frati: canto antico in una lingua antica di cui si era perso la conoscenza, ma del quale rimaneva la musica grande di ammonimento e di pietà. Era la voce stessa di Dio che parlava non all’uomo morto, ma a quelli viventi, come fossero i veri morti, e dovessero risorgere. E allora anche a Cristiano, che non si era fino a quel momento commosso se non per gli altri, gli occhi s’inumidirono. Piangeva per sè, adesso: gli sembrava fosse