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Acquaforte 273

spalla come sui rami di un albero rivestiti di musco.

Non per affetto ci salivi, ma perchè ti era grato il tepore della mia veste e della mia carne; e per rubare le forcine dai miei capelli e arrotare il tuo becco sul mio pettine.

Ti divertivi a tuo modo, ed io a modo mio. La levità dei tuoi arti feroci, la carezza del tuo becco uncinato che, più terribile di un doppio pugnale, può introdursi nella carne viva per strapparne meglio ad una ad una le fibre sanguinolenti, il contatto con le tue piume tiepide, mi davano l’impressione di essere, pure curva sull’umile lavoro domestico, un pino slancialo nell’immensità della bianca notte estiva.

Per queste illusioni, anch’io, e non per te stessa ti amavo.

E se avevi imparato a rispondermi, se mi venivi sempre appresso e la mia camera alle altre preferivi, era perchè io ti davo da mangiare, ti difendevo dai pericoli, ti permettevo di nasconderti nell’armadio come nelle tue grotte natìe: ma io ti ero egualmente grata, per questo avvicinamento materiale, illudendomi che esso potesse svolgersi in amicizia umana.

— Se tu un giorno te ne andrai, pensavo, tu tornerai certamente, non fosse altro per i vantaggi che io ti offro.

Così, dopo che tu avevi fatto il tuo bagno