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— Come si chiama?
— Benturedda.
— Ha qualche cosa?
— Molto, una casa, una vigna, una terra, una giumenta.
— Se è onesta, pigliala. Ma hai o no dimenticata l’altra?
— L’ho dimenticata, padre.
Dopo le opportune pratiche di zia Bisaccia, un giorno d’autunno zio Pietro montò a cavallo, e guidato dal figliuolo scese a Nuoro. A Nuoro si cambiò il vestito, si lavò, si pettinò la barba, mise la berretta sarda, e condotto da zia Bisaccia andò a chieder la mano di Benturedda. Questa era, come Melchiorre l’aveva con brevi pennellate dipinta, bassa, grassa, col seno e i fianchi poderosi, olivastra; aveva gli occhi azzurrognoli incassati sotto foltissime sopracciglia nere. La fronte breve e pelosa sfuggiva nell’arco del fazzoletto molto tirato in avanti; la voce uscente dalle labbra grosse e ironiche aveva un timbro maschio sgradevole.
La madre era sorella di zia Bisaccia. Obesa, con un seno enorme e il volto grasso cascante, fissò su zio Pietro gli occhi celesti infossati come quelli della