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Egli si volse; disse piano piano, con disprezzo:
— Aspetta, marrano! — e accennò a corrergli appresso. La bestiola scappò: una voce nasale gridò:
— Te’, Leone!
— Leone! Te’, — disse fra sè Melchiorre; e raschiò e sputò al di là del tronco; ma la sua sfida sprezzante più che al cagnolino pauroso era rivolta a tutta quell’allegra gente.
Dall’ombra egli vedeva un quadro fantastico. Il gran fuoco di tronchi e di rami crepitanti, le cui fronde si cangiavano in brage, mandava in alto lunghe fiamme rosse, illuminando a sprazzi la parte inferiore degli alberi e gli scorci di figure aggruppate qua e là, per terra, sulle pietre, a ridosso dei tronchi.
Il bosco pareva una fantastica e mostruosa costruzione sorretta da nodose colonne e i cui intercolunni, le vôlte e gli sfondi si perdevano in un vuoto oscuro. Nel circolo rosso descritto dalla luce della fiamma passavano correndo e traendosi dietro le loro lunghe ombre ragazzi che attizzavano il fuoco con bastoni e rami: altri stavano appollaiati sugli alberi, con le gambe ignude penzoloni.