Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/13

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Già si sentiva, nello sfondo, il ronzio d’alveare della città, che riprendeva anch’essa il suo ritmo quotidiano: fischi di treni lo attraversavano, come raggi di uno splendore metallico; mentre più vicino, un rombo di sirena salì da prima come una colonna di fumo, poi si assottigliò, si torse, sempre più acuto e fino, e terminò con un lamento quasi umano, che parve l’eco di quello dei malati dopo la notte di tormento insonne: poiché la sirena segnava la sveglia di un grande ospedale.

Ed ecco passano i carrettieri di campagna, coi sonagli dei muli e il lento crocchiare delle ruote che sembrano di pietra: è però un rumore quasi musicale, che racconta la frescura dei prati bianchi di brina e la mite rassegnazione delle bestie e degli uomini condannati alla monotona fatica quotidiana: e riconcilierebbero il sonno a quelli che invece riposano nel loro tiepido letto, senza i primi squilli delle automobili, che lacerano la quiete dell’aria e riaprono la sensazione della vita precedente. Si è in città, in una grande metropoli, dove l’esistenza di ogni giorno, anche per chi cerca di sfuggirne gli angoli, è un inevitabile combattimento. E anche la signora Noemi ha le sue piccole lotte: con gl’inquilini dello stabile signorile del quale è proprietaria; col portinaio che, fidato e affezionato, sì, ma autoritario e duro, pretende quasi di far da pa-