Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/142

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cola Agar mi infastidisce: ed ecco invece la sua graziosa figura viene a rallegrare la stanza. Ella non mi guarda; non mi vede neppure; tutta intenta a un vassoio che regge con prudenza fra le mani, con su alcuni calici di vermut.

Certo, ella è bellissima, questa volta, forse anche per effetto della luce morente, forse anche perché si è preparata per me: è vestita di nero, con una cintura di cuoio rosso che le stringe la vita sottile e molle nello stesso tempo, e fa più provocanti i suoi seni dei quali si vede completa la forma. E i suoi capelli, treccia sul petto, treccia sulla spalla, ricciolino sulla tempia, hanno sul colore dello sfondo della finestrina davanti alla quale ella si è un momento fermata, sfumature quasi rosee.

Intanto sopraggiunge padre Leone, con una fisionomia cambiata, arcigna: ma egli stringe le labbra per non parlare, ed evita di guardare la ragazza, contro la quale evidentemente è irritato: non riesco a intenderne il perché.

— Rina; ecco un altro nome di lei, che le sta molto meglio di quello di Agar, — penso io, mentre ella sporge verso di me il vassoio, ed io intravedo il fulgore dei suoi occhi attraverso le palpebre vibranti.

Il frate intanto accende il candeliere; tre fiammelle, un odore di lucignolo bruciato, ombre che lottano col chiarore ostinato dei vetri. Io