Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/147

Da Wikisource.

— 137 —

Si riprende a camminare, sempre costeggiando la fiumana: ed ecco la seconda tappa della mia via crucis: la villa Decobra: ed anche qui mi fermo, quasi con ostentazione e per dispetto al frate che mi ha trascinato a questo viaggio.

Attraverso le sbarre di ferro battuto, che finiscono in lance dorate, rivedo il viale in salita, tutto bianco e duro di ghiaia, tra due fila di cipressi, che oggi s’intonano col colore del mio spirito; ma tutto, oggi, ha pure un significato quasi mistico, di elevazione; e questi cipressi, che tendono al cielo, con le cime appuntite, mi dànno l’idea di grandi misteriosi uccelli, con le ali raccolte, dritti come gli aironi su una gamba sola: la linea di una larga e lunga aiuola, tutta dorata di fiori simili a quelli del mio mazzolino, si stende, simile a un tappeto di altare, sotto la scalinata della villa; ed anche le vetrate in fondo al portico d’ingresso, hanno un tenue splendore rossastro, come illuminate internamente da ceri accesi; mentre, sulla loggia, la balaustrata di marmo bruno si affaccia, un po’ desolata, quasi ascoltando il desolato rumore dell’acqua della quale riproduce il freddo umido chiarore.

Sopra la villa le grandi cupole dei castagni si tingono di una lieve promessa di sole; il sole, infatti, appena noi si riprende il viaggio, si libera dai vapori dell’orizzonte; ogni cosa si rallegra; i carbonai che scendono la strada dei poggi ci