Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/158

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voltino in mano, padre Leone. Nel riconoscermi s’illumina in viso e mi corre incontro premuroso.

— Sa, don Achille sta male. Si è voluto alzare, ieri; è sceso in chiesa, ha preso freddo: e oggi ha una febbre da cavallo. Il dottore ha paura di qualche complicazione. Venga a vederlo: è un’opera di carità.

E così, il frate mi rimorchia un’altra volta con sé. Agar si affaccia sull’alto della scala, ed io ho l’impressione ch’ella mi aspetti: i suoi occhi si sono fatti quasi neri, tristi, preoccupati; ma quando la saluto si rischiarano, riflettono il mio viso, mi dicono che io sono già diventato il suo segreto pensiero. Ed io, senza volerlo, me ne compiaccio: sono giovane, sono uomo, sono un debole uomo. Da tre mesi vivo in perfetta castità; ed è primavera; quel principio di primavera più eccitante della stagione aperta: lo stesso vecchio Paolo sente il rigermogliare della natura, come lo sentono le patate, le gramigne, i viticci che si arrampicano sui muri della chiesa...

Padre Leone ci raggiunge svelto sul pianerottolo, e deve accorgersi dell’improvviso incantesimo nostro, mio e di Agar, perché dà un colpettino sulle spalle della fanciulla, per richiamarla al senso della realtà: ella però si ribella; scuote le spalle, come se il colpo le abbia