Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/16

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bile, e che pure s’incontravano sempre con gli occhi che li guardavano.

La lieve tinta rosea delle labbra sottili accresceva vita a questo ritratto, che pareva ascoltasse qualche cosa fuor di sé stesso, anzi dimentico di sé stesso, curandosi solo di chi lo guardava. E la signora Noemi, che era stata la sua compagna in vita e adesso lo era più che mai in morte, gli fece un segno con la testa come per dirgli: «Sì, eccomi, siamo sempre vicini», poi guardò se la giunchiglia, entro il vasetto d’argento sulla mensola sotto il ritratto, fra due supplici foglie di felci, era fresca e odorava ancora: infine spalancò la finestra.

La stanza vibrò allora di luci, di riflessi, di colori: la figura di lui si animò ancora di più; un non so che di furbesco gli ravvivò le labbra; e i capelli folti, molli, di un nero lucido, mossi e quasi disordinati, si gonfiarono sullo sfondo verdognolo del quadro, rivelando in lui un uomo geniale e forte.

Ella si volse ancora a guardarlo, poi, attraversata la sala grande, spalancò la finestra del salottino in fondo. Qui ella passava buona parte della giornata, riceveva gl’inquilini dello stabile e i pochi conoscenti che venivano a cercarla anche dopo la morte del marito.

Mensole di lusso, sofà maestosi e poltrone fonde affollavano la sala grande, mentre qui,