Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/196

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giocare con me; ma alla mia volta, solo dal suo semplice modo di scuotere la testa, come un fiore sbattuto dal vento, capisco che il suo segreto è ben più grave di quanto io ne pensi: si tratta forse di Antioco, e la curiosità mia si fa viva, anzi vince anche il languore del mio desiderio.

Di slancio mi stringo a lei, sì, con uno slancio felino; le cingo la vita, l’afferro al fianco con la mano prepotente. Ella deve parlare, subito. Invano tenta di liberarsi, con la sua mano fragile; le afferro anche questa, ed ella non domanda di meglio; non parla però; e per vincerla del tutto la costringo a piegare il viso sulle sue trecce e le bacio la nuca, dove la scriminatura dei suoi capelli scende bianca come un raggio di luna.


Dopo, ella si mise a piangere, nascondendosi il viso col braccio: perché piangeva? Sulle prime mi parve uno sfogo di amore, e, sinceramente turbato, tentai di farle appoggiare la testa sul mio petto; ella si ribellava; rigettò indietro le trecce e cominciò a scuoterle come una criniera di cavallina indomita.

— Ma perché, Rina, — le dissi sottovoce, pronunziando il suo nome con vera tenerezza, — perché fai così. Ti ho offesa? O hai paura di me? Non piangere: mi fai male.