Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/198

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rose. Ella volge un po’ il viso verso di me, e mi guarda di traverso: ha un’aria cattiva, poiché capisce perfettamente tutti i miei pensieri. Ella non è molto intelligente; ma ha l’istinto, la furbizia, l’intuito prodigioso delle donne che vivono solo la vita dei sensi: e non cerca di mentire perché sa che con la verità nuda e crudele si vince meglio che con qualsiasi altra arma.

— Lo so, lo so, — ammette, — le avranno detto che sono stata l’amante di Antioco; le avranno detto di peggio ancora, in questo paese dove tutti parlano male di me, senza che io abbia fatto male a nessuno. A chi ho fatto male io? — domanda a sé stessa, riabbassando la testa. — A nessuno; eppure tutti, uomini e donne, hanno cercato e cercano di nuocermi.

— Anche Antioco? — domando io, ironico e nello stesso tempo geloso.

— Lui più di tutti. È un mascalzone, un vile. Ha profittato di me, come un brigante, alla macchia; come un selvaggio che incontra una donna sola. Ha fatto di me quel che ha voluto, senza volermi bene: come, del resto, non me ne vuole neppure lei.

— Oh, Agar! — esclamai, colpito e di nuovo turbato, di un turbamento ben diverso da quello di prima, — la prego...

— Ecco, mi dà già di nuovo del lei: è ben pentito, — ella riprese; poi parve che non volesse