Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/50

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anche i ciclamini, i funghi, le violette; sentivo i gridi, le bestemmie, i canti degli operai; respiravo un’aria di fiaba. Ancora non posso ricordare quei giorni senza un brivido di piacere e di terrore. Forse era un presentimento. Perché un fatto avvenne, infine, nella mia pallida adolescenza, ma terribile. Mio padre fu trovato morto, poco distante da una carbonaia, intorno alla quale egli faceva un giro d’ispezione notturna. Io, neppure lo vidi, né mai ho saputo come fu ucciso; ma ancora lo immagino steso bocconi tra le foglie bruciate, nere di sangue, in quel cimitero di alberi. Furono arrestati molti degli operai che lavoravano per conto di lui, poi tutti furono rilasciati. Venne giù un cugino di mio padre, ma aveva una famiglia numerosa, e non volle assumersi la responsabilità di prendermi con sé: provvide, con le Autorità del luogo a nominarmi un tutore, a liquidare le lavorazioni imprese da mio padre, ad acquistare, col ricavo, titoli di rendita, che furono depositati per conto mio in una Banca; poi se ne tornò a casa. Avevo, del resto, diciotto anni, e potevo continuare a vivere da sola, con la mamma-serva che piangeva mio padre quasi fosse stato suo marito: e forse, in un certo modo, lo era stato.

Il tutore, un grasso e ricco possidente nostro vicino di casa, ubbriacone ma di cuore generoso, si illudeva di sorvegliarmi; mi diceva barzellet-