Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/61

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ogni tanto inonda i campi e rovina i contadini poveri. Io, esecutore testamentario. Era, forse, questa, una forma di castigo e di espiazione per me. Ed io ho accettato. Il testamento non è del tutto valido: ad ogni modo io sono qui, nel suo paese, per difendere la sua ultima volontà.

Ed anche lei è di nuovo qui. L’ho ricondotta, col suo vestito bianco, coi capelli annodati come il giorno della sua prima comunione: scalza ha rifatto la lunga strada dalla città pestilenziale al silenzio puro delle alte colline in mezzo alle quali si culla al rumore della fiumana il suo paesetto di contadini, di cacciatori, di carbonai. I suoi parenti, i nonni, i genitori, sono venuti ad incontrarla, hanno accompagnato i funerali, senza salutarmi. È giusto. Adesso ella riposa tra la vecchia parrocchia e la villa dei suoi, nel piccolo cimitero dove fioriscono le viole selvatiche, e gli uccelli non hanno paura di amarsi. Ha raggiunto la pace che non poteva trovare in vita, ed io vorrei non parlarti più di lei per non turbarla oltre.


Intanto io abito presso un contadino il cui campo è periodicamente allagato dalla fiumana: eppure egli non lo ha mai voluto abbandonare; anzi s’è costruito da sè, anno per anno, una specie di terrapieno, intorno alla sua casa: ha cioè