Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/63

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di margheritine rosa; e nel bel mezzo sdraiato un mansueto cane fulvo che mi fa guardia e compagnia.

Del resto non mi mancano le più strette comodità: ho a mia disposizione un gabinetto che pare un osservatorio astronomico, con un impianto idraulico – l’acqua non manca di certo, – che i castelli medioevali avrebbero invidiato: e ci si può fare il bagno caldo, con la buona volontà della signora padrona e della sua capace caldaia per il bucato: d’estate, poi, c’è la fiumana, con la relativa spiaggia di sabbia vellutata. Ma l’estate è lontana...

Ho scelto questo posto, come punto, dirò così, di studio; ma ho anche una specie di ufficio, nel centro del paese, tra la farmacia, la cartoleria, la posta e il macellaio; nella piazza, infine, dove, dietro una fila di casette nuove, basse, s’affaccia la vecchia casa comunale, nera e corrosa. Ha una tradizione: dicono ci sia stato Machiavelli e, in ultimo, Garibaldi in fuga verso l’Adriatico.

Nel mio ufficio non posso lavorare stabilmente, perchè ancora devo fare alle competenti autorità la domanda del permesso legale per la costruzione dell’argine; ma già ricevo qualche postulante per l’impresa dei lavori.

Passo buona parte della giornata qui, nella casa sull’acqua. Posto di studio, ho detto. Anzitutto uno studio di me stesso: poichè sono