Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/73

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della provincia, che a sua volta la inoltrerà al Ministero dei lavori pubblici: ma non è di questo che voglio scriverti; piuttosto del podestà. È un uomo che sento, in qualche modo, affine a me, in senso però, dirò così, negativo: un mancato, un fallito della vita, anche lui, ma senza luce di speranze o d’illusioni che non siano materiali. Questa almeno, è stata la mia impressione dopo un nostro primo colloquio. È giovane, forse giovanissimo; ma a volte sembra vecchio, secondo l’espressione del suo viso: un viso pallido, sofferente, con un largo mento che dimostrerebbe un segno di forza di volontà, mentre il resto del viso è quello di un abulico, con una bocca amara di bambino bastonato, gli occhi castanei bellissimi, sì, dolci, quasi languidi, ma che non dànno confidenza nè conforto: gli occhi dell’uomo che guarda solo dentro di sè, e pensa alla sua sorte. Se a me si può interessare, è per quello che lo riguarda, in questo mio affare: ha già capito che per lui non c’è margine di guadagno, che il mio affare è forse campato nel vuoto; – il testamento, mi ha subito dichiarato, non è valido, sebbene la famiglia della povera morta non intenda di opporsi alla sua estrema volontà; – e quindi mi accoglie per semplice forma di cortesia; forse, nel suo intimo, burlandosi di me.

Eppure mi piace: è raffinato, intellettuale: ha