Pagina:Deledda - L'incendio nell'oliveto,1821.djvu/72

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Mikedda ritornò nel cortile a prendere le legna. Giorno di morte, davvero, tutto di un grigio basso cattivo, con un forte vento di levante che portava dalla valle un mugghio sinistro come di mare burrascoso. Gli spruzzi di pioggia che di tanto in tanto si sbattevano sul lastrico fangoso parevano d’inchiostro; è nero anche il velo di lacrime che il dolore e il freddo stendono sugli occhi di Mikedda. Sa anche lei che una nuova vita ricomincia per tutti; che bisogna filar dritti, adesso, ciascuno nel solco scavatogli dalla sorte; i padroni coi padroni, i servi coi servi. Rivede il padroncino Agostino rigido sul suo cavallo, mentre lei gli apre il portone e lo guarda timida e trepida dal basso nella speranza che egli le lasci cadere uno sguardo luminoso come un raggio di sole. Altre volte egli la salutava, almeno, come si salutano anche i viandanti sconosciuti; da qualche tempo, dopo il progetto di matrimonio fra Annarosa e Stefano, egli non si accorge di lei che per dirle parole aspre, umilianti.

— Ma anch’io me ne andrò; me ne voglio andare, — disse al ramo che teneva dritto davanti a sè, battendolo rabbiosamente con la scure; — i padroni coi padroni, i servi coi servi. Me ne andrò, me ne andrò!