Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/124

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castigo voi lo avete già avuto nella vostra pena stessa.

L’altro scuoteva la testa sul guanciale, non convinto nè confortato, e non si chetò neppure dopo avuta l’assoluzione.

Nella notte lo sentirono vaneggiare, parlando col cavallo come con una persona viva; e rifaceva anche la voce del compare morto.

— Compare, non mi dispiace altro che di vivere prigioniero e inoperoso: questa umiliazione, no, non ve la perdonerò per l’eternità.

Nel sentirsi aggravare, il vecchio chiamò il servo che accudiva al cavallo.

— Ascoltami: tu hai qualche anno ancora da campare, perchè voi poveri siete più sani e più forti dei ricchi, malanno a noi. Ti raccomando Fortunato: lo farai pascolare in libertà, quando il tempo è buono; quando farà freddo lo riporterai nella stalla. In cambio ti lascio in eredità il mio frantoio e l’altro cavallo buono. Accetti? Sì, bravo, dammi la mano.

Il servo prese nella sua la mano umida e ardente del padrone, e giurò che avrebbe trattato il cavallo come un cristiano. Nei primi tempi, infatti, dopo la morte del vecchio, mantenne la promessa. Era ancora la buona stagione: il cavallo fu portato al pascolo in un prato della valle, sotto la verde scalea delle vigne che saliva fino al cielo; ma parve soffrirne: brucava svogliatamente l’erba d’autunno, e la notte starnutiva