Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/243

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COMPAGNIA


V’è soffrire e soffrire; ma quello del grosso Paolone era, almeno a parer suo, diverso e più pesante di tutti gli altri. Ecco che egli ritornava, dopo quindici anni di volontario e tumultuoso esilio, nella casa dalla quale il tradimento e la vergogna lo avevano fatto fuggire, e la cui porta egli credeva di non riaprire mai più.

Riaprì la porta col movimento istintivo di un tempo, girando la chiave all’inverso, e subito sentì come il tanfo di una tomba dissepolta. Erano l’odore e l’alito umido delle dimore chiuse, da tempo deserte: ma l’uomo non s’impressionò per così poco. Anzi, poichè era già notte e pioveva, provò un senso di sollievo entrando nell’ingresso e deponendovi la sua grossa valigia tutta fiorita di bolli di alberghi stranieri.

Accese una candela stearica, della quale si era già provveduto; entrò nella cucina, subito a destra dell’ingresso, e, pendente sopra la tavola, rivide la lampada, che miracolosamente riuscì