Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/26

Da Wikisource.

— 20 —

l’impressione che i suoi capelli siano diventati bianchi.

Mi chiama per il pranzo, con voce sommessa, come se nella casa ci sia un morto. Un impeto di orgoglio mi solleva.

— Vengo subito — grido, e mi slancio giù per le scale come fanno i ragazzi, di volo, aggrappata alla ringhiera.

E quando tutti siamo riuniti a tavola, il coraggio di parlare, di combattere la mia e l’altrui inquietudine, mi accende come un guerriero davanti alla battaglia.

— Non capisco perchè non è venuto, — dico con una voce che non mi sembra la mia, — a meno che non sia malato o non gli sia capitata una disgrazia.

— Dio non voglia. Del resto, se era malato avrebbe mandato ad avvertire.

— E se gli è capitata una disgrazia? — io insisto. — Ricorda quel tuo collega che la scorsa domenica è andato sotto un’automobile.

— Era vecchio e non ci sentiva. Macchè disgrazia! Avrà avuto qualche impegno; forse l’affare che doveva concludere sabato l’avrà rimandato ad oggi.

— No, no. Allora sarebbe venuto ieri, o avrebbe mandato un espresso. Io credo invece che gli sia accaduto qualche cosa di triste, oppure...

— Oppure?

— Che non voglia tornare più.