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della pianta del pisello, e ne cerco, tra le foglie leggere dorate che si sfarinano come farfalle morte, i radi baccelli, secchi pur essi e diafani, che basta premere lievemente fra due dita per trarne i semi maturi.

A volte il tralcio ne tira un altro, e questo altri dieci: accomunati tutti nella loro fine dolorosa, — dopo tanta frescura, tanti fiori, tanta dolcezza ricevuta dalla primavera e data alle minestre e alle frittate familiari, — pare che non si vogliano più separare; anzi, alcuni hanno trascinato con loro anche la frasca spinosa che li sorreggeva, attorcigliati ancora con quell’amore che è più forte della morte.

*

Il guaio è che un brutto momento mi ci trovo sommersa: più tiro, più alta e densa si fa la nuvola dorata ma anche polverosa e pungente dei tralci ribelli: ho l’impressione che siano essi ad assalirmi, con una rivolta di vendetta. Dice il loro fruscìo:

— Fa’ il piacere, non occuparti più di noi. Dopo tutta la gioia che ti abbiamo procurato, ed anche l’utile e il dolce, non smetti di tormentarci, e ci separi, e ci stronchi, e ci torturi anche dopo morti.

— È vero anche questo, amici miei, ma è per