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schiera e piccoli villini, tinti di teneri colori contadineschi, tutti con terrazze pavesate di bucati casalinghi; tutti con giardinetti dove la palma non sdegna di fare ombra al prezzemolo: e, quasi per vendicarci della Metropoli che non ci voleva più dentro il cerchio delle sue mura, alle nostre strade, ricche di aria, di sole, di sfondi campestri, si diedero nomi di città di provincia. E tutto il quartiere si fregiò col nome glorioso della Patria grande: quartiere Italia.
Come tutti i popoli felici, il nostro, dunque, non ha ancora una storia. Il nucleo primitivo della nostra città, del quale appunto qui si vuol parlare, si è già esteso ed ingrandito; o, meglio, nuovi quartieri imponenti e moderni, con palazzi signorili e costruzioni popolari, ci hanno raggiunto ed accerchiato: noi però si rimane fermi al nostro posto, e tutto al più possiamo ammettere nel nostro ambito qualche antica villa rimodernata e il campo del tennis che ancora ci salva l’orizzonte.
Il nostro quartiere è sempre quello della prima colonia: le case e i giardinetti gli stessi: solo gli alberi sono cresciuti, per nasconderci forse agli occhi di chi, dall’alto dei palazzi nuovi, può incuriosirsi ad osservare la nostra patriarcale intimità. E questo raggiungerci della Metropoli ci lusinga, sì, ma non eccessivamente. Si stava bene anche a debita distanza.