Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/296

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nude notti d’inverno: finchè, coi calori e i turbini polverosi di luglio, pensa di fuggire. Eppure sono ancora belle, queste notti scure, calde e ferme, coi piccoli garofani bianchi che hanno ripreso il posto nel nido di cristallo, e il cui odore pepato aiuta l’illusione di un ambiente tropicale. Il poeta, però, non è più disposto alle finzioni: è stanco, malato; tutto gli dà noia, e negli stessi fiori vede un’escrescenza colorata di inutili cespugli. Bisogna partire.

*

Eppure, che orgia di fiorellini campestri nella casetta sommersa fra l’azzurro del cielo e l’argento verdolino dei grandi prati falciati, che di notte la lepre attraversa come radure di boscaglie alpine! Qui non c’è la tavola, che è rimasta a riflettere solo i fantasmi dei libri; e neppure si conoscono i vasi raffinati della casa di città; ma tutto è buono per raccogliere i fiori, anche i boccali paesani per il vino; e gli occhi dei bambini sono gli specchi migliori per i fiordalisi e le bacche dorate del verbasco. L’estate però è breve come la fiamma che nello stesso tempo brilla e si spegne: e già sul cielo i fiori delle stelle filanti annunziano la sua fine.

Il poeta le guarda dal portico, e sbadiglia,